GIUSEPPE NATIVO, Carboneria a Ragusa?


Documenti archivistici ne attestano la presenza intorno agli anni '20 dell'Ottocento. Era una istituzione benefica e non eretica
La tematica, affrontata dalla professoressa Carmela Sgarioto in un suo contributo storico pubblicato sul settimanale “Ragusa Sera” del 25 aprile 1959, è riproposta ai lettori di Ondaiblea nell'ambito delle iniziative volte a far luce su alcuni aspetti, talora poco conosciuti e caduti nell'oblio della memoria, delle città iblee.






Il periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche (1815) all'unificazione italiana (1860-'61) è caratterizzato in Sicilia da considerevoli fermenti sociali, economici e, non ultimi, politici. Un periodo, per così dire, di transizione, che fa da tramite tra il mondo aristocratico dell'ancien régime e i governi liberali dell'Italia unita. Il movimento liberale si batte per mutare la struttura economica esistente, sfidando la politica della monarchia borbonica che governa a Napoli e tentando, nel contempo, di conservare la gerarchia sociale dominante, temendo le conseguenze delle rivolte popolari.
In tale clima nasce la Carboneria, società segreta fondata su valori patriottici e liberali, che, penetrata nell'Isola verso il 1815, si diffonde nel ceto medio, nelle maestranze e nel clero. Gli appartenenti a tale organizzazione, chiamati “buoni cugini”, traggono l'uso di parole e simbolismo dal mestiere dei carbonai, ovvero coloro che preparano il carbone e lo vendono al minuto. I luoghi di convegno vengono detti “baracche”, mentre le “vendite” sono le associazioni locali. Una di queste “vendite” si trovava proprio a Ragusa. A testimoniarlo, attraverso documenti archivistici, è la professoressa Carmela Sgarioto, accanita studiosa di toponomastica, la quale, in una sua accurata relazione pubblicata sul settimanale domenicale “Ragusa Sera” del 25 aprile 1959, identifica come sede della società segreta uno stabile “all'estremo meridionale della via Ponte”, quartiere dell'antica Ragusa superiore, ponendo come data il 1820. Ma chi erano i Carbonari a Ragusa e a cosa aspiravano o perché congiuravano nella loro “vendita”? Nel quartiere sembra che fossero ben pochi coloro i quali non vi appartenevano perché “santa se ne diceva l'istituzione”, già fatta in Francia da Santo Icobaldo carbonaio, “benefiche” le pratiche ed “utile” l'aspirazione generale volta a prestare il fianco alla “libertà del popolo”. La Carboneria di Ragusa, secondo le ricerche della Sgarioto, si può paragonare ad una “pia congregazione” destinata a “sorvegliare dai latrocinii” che, prevenendo ogni possibile “turbolenza ed infrazione della pubblica tranquillità”, dà sostentamento alle famiglie indigenti. In quotidiane preghiere in comune i membri supplicavano “Dominedio onde commuovere il duro cuore di Ferdinando I° a concedere la Costituzione giurata nel 1812 e ritirata nel 1815”.
Eppure in tutto il territorio della penisola italica i carbonari sono assimilati ai primi eretici in senso assoluto che subirono una condanna senza appello dalla Chiesa. Quando Pio VII con la sua bolla “Ecclesiam a Jesu”, pubblicata il 13 settembre 1821, condanna tale forma di associazione, i ranghi della setta subiscono un evidente assottigliamento. Un po' tutti i carbonari, laici o ecclesiastici che fossero, furono colti di sorpresa dall'asprezza della condanna papale, che giungeva tra l'altro dopo anni di tolleranza più o meno implicita verso la sorella maggiore della Carboneria, la Massoneria. La Carboneria mostra al suo interno fenomeni ambigui. Molti studiosi del mondo settario carbonaro lo giudicarono poco lineare e contraddittorio: la carboneria fu paragonata a un grande fiume ove confluivano acque molto diverse le une dalle altre. Essendo “repubblicana” almeno nella sua sostanza programmatica originaria non poteva sfuggire all'occhio vigile della Chiesa.
Quello che poi avviene nella penisola per “l'aggregazione dei Carbonari superstiti in Società della Giovane Italia, aspirante sempre alla indipendenza”, scrive la Sgarioto, succede anche a Ragusa i cui fermenti sociali e politici delle “due” entità ragusane (superiore e “iusu” ovvero inferiore) sfoceranno, in seguito, verso una città unita e non più divisa.

Giuseppe Nativo
(L'articolo è stato pubblicato sul quotidiano on line http://www.ondaiblea.it/ in data 04.01.2011)

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