GIOVANNI TESE’, Il reato di stalking: aspetti giuridici

Da sempre sono esistiti i “persecutori” e le loro “vittime”. Eppure comportamenti di tipo persecutorio quali minacce, molestie assillanti e seriali e comunque tali da compromettere, turbare, o addirittura destabilizzare il normale, sereno ed equilibrato svolgimento della vita quotidiana delle “vittime”, fino a pochi anni fa, non erano stati presi in considerazione dal nostro ordinamento giuridico. Siffatte condotte delittuose peraltro, non avendo rilevanza penale, facevano sicché le vittime innocenti restassero
abbandonate, indifese e senza tutela alcuna e di contro i persecutori potevano continuare a nuocere impunemente.
Una serie impressionante di tali comportamenti e atteggiamenti ripugnanti alla coscienza sociale si è inasprita o meglio è venuta alla luce - grazie anche al coraggio mostrato da non poche vittime - solo negli ultimi anni.
Governo e Parlamento pertanto, molto opportunamente e con la necessità e l’urgenza consequenziali, hanno affrontato questa piaga sociale, seppur con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, con l’emanazione del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38. Con tali provvedimenti legislativi sono state apportate modifiche al codice di procedura penale e al codice penale ed è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico il nuovo reato rubricato come “atti persecutori” e ormai noto con l’espressione “reato di stalking” il cui termine è stato mutuato dal linguaggio scientifico e specializzato inglese.
La nuova fattispecie delittuosa, contenuta nell’art. 612 bis del codice penale e finalizzata a eliminare o quantomeno ad attenuare condotte deplorevoli, specie, nei confronti delle donne, è stata inserita nel vigente codice penale nel libro II (dei delitti in particolare), titolo XII (dei delitti contro la persona), capo III (dei delitti contro la libertà individuale), sezione III (dei delitti contro la libertà
morale) e subito dopo l’articolo 612 che prevede il reato di “minaccia”.
L’art. 612 bis c.p. prevede espressamente che:
“ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.”
La sistemazione di questa nuova disposizione normativa nel nostro codice penale è indubbiamente di rilevante importanza, sia in ordine alla natura giuridica del reato, sia per quanto riguarda la configurabilità e l’interpretazione della norma stessa e sia ancora per la esatta identificazione dei beni giuridici che la norma mira a tutelare.
Disquisire sull’esegesi o sulla configurazione e sulla natura giuridica della norma in esame, in questa sede, esula però dalle finalità e dagli obiettivi che ci siamo proposti, tuttavia appare necessario sottolineare quantomeno che la fattispecie, così come formulata e organicamente inserita nel sistema normativo vigente, statuisce non solo la tutela della libertà morale della persona, vittima delle interferenze e degli atti persecutori posti in essere dallo “stalker” (persecutore, molestatore assillante) in danno delle persone offese dalla condotta criminosa, ma tende anche a tutelare il “bene giuridico” dell’incolumità individuale e della salute con tutte le conseguenze giuridiche del caso.
Ciò posto, dall’esame dell’art. 612 bis c.p. emerge innanzi tutto la previsione della pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, “…salvo che il fatto non costituisca un reato più grave…”, a carico di chi “… con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.…”
Pene più gravi sono previste con la norma in esame se “… il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona
offesa…” e “…se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata…”, le pene sono aumentate fino alla metà di quelle edittali previste. La pena è addirittura aumentata fino a due terzi se il fatto è stato commesso da chi è già stato condannato per il delitto previsto dal primo comma dell’art. 612 bis c.p.. Ove il persecutore dovesse invece uccidere la vittima la pena è quella dell’ergastolo.
Oltre alle pene suddette, il legislatore ha voluto dare dei segnali concreti ed efficaci per la tutela delle persone offese di siffatti esecrabili reati con l’inserimento degli articoli 282-ter (che ha introdotto una nuova misura cautelare coercitiva consistente nel divieto in capo al persecutore di avvicinarsi ai luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa ovvero di mantenere una certa distanza e addirittura di non avvicinarsi anche a luoghi frequentati dai congiunti della vittima), 282- quater (obblighi di comunicazione) e con l’integrazione dell’art. 76 del D.P.R. 115/2002 che prevede l’ammissione al gratuito patrocinio anche per i reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e violenza sessuale di gruppo previsti dagli artt. 609-bis, 609- quater e 609-octies del codice penale. Non solo, ove le vittime di tali condotte delittuose, stante la particolare delicatezza e pericolosità delle situazioni che possono prospettarsi, fino alla presentazione della formale querela nei confronti del persecutore per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., possono presentare richiesta di ammonimento nei confronti del molestatore all’autorità di pubblica sicurezza che prontamente la trasmetterà al Questore territorialmente competente. Il Questore, assunte le debite informazioni ed acclarata la veridicità dei fatti rassegnati, provvederà ad ammonire l’autore delle persecuzioni e ciò anche al fine di prevenire la consumazione di ulteriori atti persecutori e di altri reati per impedire la continuazione di atti di interferenza nella vita della vittima. Nel caso in cui l’ammonito non dovesse desistere dalla condotta delittuosa, si procederà d’ufficio nei confronti dello stesso per il reato previsto dall’art. 612 bis c.p. con un conseguente aumento di pena. Con l’introduzione di questo nuovo reato, finalmente, si è data la giusta rilevanza a tutti quei comportamenti talvolta apparentemente insignificanti se considerati isolatamente (invio di sms, e-mail, cyberstalking, telefonate, lettere, lettere anonime, doni di ogni genere, fiori, pedinamenti, appostamenti, sorveglianza sotto casa, nei luoghi di lavoro o ricreativi, manifestazioni di gelosia, violazioni della privacy) e che in realtà, per la loro sistematicità e reiterazione, diventano ossessivi, assillanti e persecutori fino a ridurre le vittime in stato di assoluta prostrazione e di totale soggezione psicologica tale da incidere non solo sulla libertà morale dei perseguitati ma anche sul loro stato di salute per non parlare dei casi più gravi cha vanno dalle violenze, alle aggressioni, al tentato omicidio o addirittura all’omicidio.
Sono state previste quindi pene più serie e appropriate a condotte delittuose che prima dell’entrata in vigore delle disposizioni che ci occupano erano inquadrate il più delle volte nei delitti meno gravi di minacce ex art. 612 c.p. ovvero di violenza privata ex art. 610 c.p. e addirittura nella contravvenzione di molestie di cui all’art. 660 c.p. e conseguentemente venivano sanzionate con pene meno gravi e addirittura risibili e pertanto tutt’altro che idonee a far fronte a una piaga sociale di proporzioni talvolta d’inaudita gravità.
È agevole dedurre pertanto che l’inasprimento delle pene e la più esatta configurazione della gravità delle azioni delittuose può sicuramente rappresentare un adeguato deterrente per i persecutori che il più delle volte sono da individuare nelle relazioni di coppia, in famiglia, nei luoghi di lavoro o di studio, nelle strutture condominiali e comunque persone molto vicine in linea di massima alle vittime.
Il reato è punibile a querela della persona offesa entro sei mesi dal verificarsi della condotta persecutoria - lo stesso previsto per i reati di violenza sessuale e non entro tre mesi come statuito per la maggior parte dei casi dall’art. 124 del c.p.
Il termine più lungo ovviamente è stato previsto in favore della vittima che in tal modo potrà avere il tempo necessario per trovare il coraggio necessario di denunciare fatti che riguardano la sua sfera privata e per affrontare una battaglia giudiziale nei confronti del persecutore.
È prevista anche la procedibilità d’ufficio se il fatto previsto dalla norma che ci occupa viene commesso, con minacce gravi, nei confronti di un minore ovvero di persone diversamente abili, ovvero se il fatto è connesso con altro reato per il quale si deve procedere d’ufficio.
La competenza a giudicare spetta al Tribunale monocratico territorialmente competente.
Da quanto fin qui delineato ne discende che gli elementi costitutivi del reato di “atti persecutori” possono essere sintetizzati nella “reiterata condotta illecita” ascrivibile alle ipotesi delittuose delle “minacce e della molestia” che devono cagionare alla vittima “un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.”
La condotta del reo deve essere caratterizzata dal “dolo generico” consistente nella precisa volontà e consapevolezza che le azioni persecutori, seriali e sistematiche devono cagionare alla vittima le conseguenze previste dalla norma e pertanto il reato si consuma nel momento in cui tale evento si verifica.
Va precisato infine, così come statuito recentemente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8832 depositata il 7 marzo 2011, che il reato di “atti persecutori” sussiste anche in mancanza di atti diretti contro l’incolumità fisica della vittima bensì è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, anche se non progredito in uno stato patologico.
Non manca chi ha espresso particolari riserve sulla formulazione della norma contenuta all’art. 612 bis c.p. (invero alquanto generica e indeterminata) sotto il profilo della non piena compatibilità con l’art. 25 della Costituzione.
Certo la norma in esame potrà essere migliorata, modificata, integrata, meglio formulata in un prossimo futuro, è certo anche però che l’introduzione delle nuove disposizioni in materia di “atti persecutori” e il conseguente inasprimento di pene e i misure coercitive (multa, reclusione, diffide e ammonimenti), sin dall’entrata in vigore ha rappresentato un forte ed efficace deterrente e soprattutto ha prodotto una grande attenzione sociale nei confronti del fenomeno in esame.
Prendiamo atto, in ogni caso, come finalmente nella cultura dominante cominci ad affermarsi la consapevolezza che la “vittima di persecuzioni” - fino a qualche anno fa ignominiosamente e inspiegabilmente condannata anche dalla società o da pseudo benpensanti - non ha nulla di cui vergognarsi o rimproverarsi e che di contro ha solo il diritto sacrosanto di ottenere giustizia e tutela.



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