LUIGI FICARRA, Due giorni a Canicattì - Agosto 2012

La sensazione più bella è stata rivedere alcuni dei miei amici.
Lillo Curto, mio compagno di scuola elementare, del quale avevo sempre presente il  volto con sguardo sereno e fiero nella foto di gruppo fatta in terza col maestro Terrana. Non lo vedevo da tanti anni e l’ho riabbracciato con gioia, potendo rivivere nel colloquio anche ricordi della nostra infanzia. Ho visto ed ammirato pure le sue pregevoli sculture, tutte belle e delle quali due mi hanno colpito in particolare: quella in cui si coglie un solo occhio sbilenco, una creazione che affascina e lascia incantati, e la riproduzione del monumento detto di “Petrappaulu”, che è un’opera degna di stare nella Casa comunale per la maestria di vero artista con cui è stata  realizzata.
Salvatore Vaiana, con cui in questi anni ho avuto una costante corrispondenza e che stimo molto per le sue doti di studioso di storia, in particolare per aver saputo approfondire e far conoscere quella del movimento operaio a Canicattì, specie con attenzione alla strage del dicembre 1947, preordinata dagli agrari in combutta con le forze che, invece, avrebbero dovuto essere deputate all’ordine. Vaiana è uomo di poche parole, la cui amicizia non ridonda in manifestazioni esteriori, ma in comportamenti coerenti, cosa che apprezzo sempre.
Angelo Ferreri l’ho rivisto nel suo negozio, già quasi del tutto svuotato, avendo cessato l’esercizio. Mi ha addolorato apprendere della morte della sorella, che si distingueva per la sua naturale gentilezza d’animo e simpatia che sapeva infondere in tutti. Angelo è stato un mio compagno di lotta nel vecchio PSI, componente di sinistra, quella facente capo a Lelio Basso. Non è attivo oggi - mi ha detto - nelle organizzazioni di sinistra, anche perché a Canicattì non sono vive come dovrebbero, ma la sua passione politica è sempre accesa, aperta all’impegno attivo, se un domani ne verrà richiesto. Mi ha fatto enorme piacere trovarlo in ottima salute, grazie ad un intervento ben riuscito, cui ha dovuto sottoporsi.
Salvatore Fontana, anch’egli un compagno del vecchio PSI, sempre gentile, affettuoso e disponibile, che ho trovato disilluso, chiuso nel suo privato, come tanti e tanti altri. Tutti vittime della vittoria del pensiero dominante grazie anche all’appiattimento su posizioni moderate dell’odierno PD, fenomeni che hanno generato frustrazione e fuga dall’impegno. La sua amicizia nei miei confronti è comunque rimasta immutata, spontanea, autentica.
Non ho potuto incontrare altri che con piacere ed interesse avrei voluto vedere, come Diego Guadagnino, Gaetano Augello, Pino Jannicelli e Pino Brancato, ma spero ciò accada in un prossimo vicino futuro.
Due cose mi hanno colpito della odierna Canicattì, l’iniziale recupero del passato e l’affermarsi di un modo nuovo di porsi.
L’ex convento, poi adibito a scuole elementari, a S. Domenico, è stato restaurato magistralmente da architetti e da operai artisti, che hanno fatti rivivere le originarie forme del passato, nel rispetto assoluto di esse. E così pure il palazzo del ‘700 che trovasi all’angolo destro della piazza S. Domenico, restituito nella creazione originaria, con cura di tutti i particolari: opera di veri artisti. Ho appreso nell’occasione che è abitato da un imprenditore, il quale, aprendosi ai mercati esterni, ha notevolmente allargato la sua azienda di manufatti in legno, sita nelle vicinanze della stessa piazza. Sempre in questa occasione di cui parlo, ho girato per la prima volta per il dedalo di vie e viuzze del quartiere S. Domenico, scoprendo una parte della città che mi ha affascinato anche per avermi fatto rivivere nella memoria il bellissimo libro di Guadagnino, “La via breve”, per me un grande capolavoro.
Altri due restauri molto ben fatti che ho potuto vedere nel mio breve soggiorno sono quelli della Chiesa degli Agonizzanti e della Matrice. Ammirando la facciata “riportata a nuovo” di quest’ultima, ho notato che la parte in alto è stata aggiunta in un periodo successivo, stante la differenza di stile con quella in basso, del ‘700. Dentro la Chiesa, del tutto vuota, ho incontrato un giovane compagno, Grifo Enzo, che non conoscevo, il quale stava facendo volontariato. Un cristiano-comunista, che mi ha comunicato le sue impressioni sullo stato della sinistra a Canicattì e del PRC in particolare, partito cui aderisco. Altrove sarebbe stato uno strano incontro in una Chiesa, ma non in Sicilia e non a Canicattì.
Ho avuto modo di recarmi anche al cimitero, per visitare, guidato dai miei cugini Amedeo e Stefania Puma, le tombe di tutti i parenti ed amici che mi hanno preceduto sull’altro pianeta. L’ho trovato rinnovato, ordinato, rimesso a nuovo. Ho reso onore anche alla tomba di Calogero Sacheli, che fu grande amico di mio zio Angelo, il quale un anno prima di andarsene, accompagnato da me il giorno dei morti, vi si avvicinò, dicendomi: “era un uomo d’ingegno, profondamente giusto e di elevato sentire”.
La sera prima di partire mi sono attardato a passeggiare per la via che va da S. Diego sino alla Villa, ed ho scoperto negozi di eleganza e splendore tali che non si trovano eguali in grandi città, con commesse belle e fini ed una elevata capacità di esporre le merci: un modo di porsi nuovo che esprime una rinnovata cura estetica. Sapevo da tempo che Canicattì era ed è un paese ricco di commerci, con un capitalismo agrario e finanziario affermato ed espansivo. Quest’ultimo testimoniato dalla presenza di numerosi istituti bancari, dove, come risaputo, hanno rifugio anche fiumi di denaro di provenienza mafiosa. Oggi questa ricchezza trova una nuova forma estetica di espressione: il bello copre, non fa vedere il brutto e l’orrido in sé della merce, la sublima.
Era già sera avanzata e poco prima della Villa, all’angolo della strada, vedo qualcosa che mi attrae la mia attenzione: una boutique con il primo piano tutto illuminato con perfetta conoscenza dell’arte delle luci, ed ivi un manichino con appoggiato sopra un indumento femminile. Il tutto di una bellezza estetica che non ha pari.
Poi, ritornando indietro, scopro una macelleria, che apprendo essere di tale La Valle, di una finezza ed un lindore tali da lasciarmi letteralmente incantato.
La prima sera Lillo Curto e Salvatore Vaiana mi hanno fatto il regalo di accompagnarmi a rivedere la casa dove ho abitato dai tre anni sino alla giovinezza, in via Senatore Gangitano, e mi ha fatto enorme piacere rivederla, anche se cadente, così come la ricordavo. Ho fatto notare che a sinistra del portone in ferro si vedono ancora sul muro i segni delle pietre lanciate alla fine dell’estate del ’43 contro l’effige del volto del duce, opera di noi ragazzi di ritorno dal rifugio in una grotta della contrada “all’acci (questo il nome forse storpiato che ora ricordo).
Certo non può dirsi che vi sia un nuovo generale affermato interesse al recupero della memoria passata: basti pensare allo stato in cui è tenuta la biblioteca comunale ed il suo archivio. Ma vi sono dei segni che fanno sperare. Come la grande biblioteca on-line creata da Pino Brancato, con un archivio immenso di documenti, anche fotografici, tutti ben ordinati.
Un segno negativo è l’assenza di un’organizzazione politica di classe, capace di produrre iniziative di lotta e cultura, ed in grado di affrontare e gestire il problema essenziale della battaglia contro la mafia in tutte le sue manifestazioni: sociali, economico-finanziarie, culturali.

Padova, 9 settembre 2012                 
                                                        Luigi Ficarra

Nessun commento:

Posta un commento