GAETANO AUGELLO, Canicattì - Il Teatro Sociale

Nel 1899 si costituì, autonomamente, una “Commissione per la costruzione di un Teatro a Canicattì” presieduta dal commendatore Salvatore Lombardo Ricca. La Commissione iniziò una pubblica sottoscrizione che, in poco tempo, fruttò £ 29.953,70. I soldi venivano raccolti e certificati mediante apposita ricevuta staccata da bollettari intestati “Comitato per la costruzione del Teatro” e regolarmente firmati dal cassiere. 

Il 27 dicembre 1899 lo scienziato Antonino Sciascia contribuì con 25 lire. Anche l’assemblea dei soci del locale Circolo di compagnia, il 21 febbraio 1904, decise di partecipare alla sottoscrizione con una delibera davvero singolare: sarebbero state versate “£ 8.000 da pagare a £ 1.000 ogni fine anno incominciando dal 1905”. 
Per la costruzione del Teatro la Commissione chiese al Comune la concessione dell’area edificabile “Giardino Carmine”, nelle immediate vicinanze della piazza principale della città. Il 15 marzo 1899 il Consiglio Comunale, presieduto dal sindaco Enrico Gangitano, concesse l’area. 
Della progettazione fu incaricato l’architetto professor Ernesto Basile. Il grande maestro del liberty preparò un primo progetto nel 1899. 
Il Comune di Canicattì teneva molto alla realizzazione del teatro e, prima di quello del Basile, erano stati presentati altri tre progetti. Il primo era stato presentato nel 1873 dall’ingegnere capo del Genio Civile di Girgenti Angelo Carelli che ne aveva fatto dono al Comune; il Carelli per i disegni si era avvalso della collaborazione dell’ingegnere Salvatore Lo Presti che insisteva, invece, per il pagamento delle sue spettanze; la Giunta nel 1874 disponeva il pagamento di £ 50 in favore del Lo Presti, mentre ringraziava Carelli per la sua generosità. 
Intanto però, nello stesso 1873, il Comune affidava la modifica del progetto Carelli all’ingegnere Francesco Tabasso che vi provvedeva in tempi rapidi, consegnando in data 8 marzo 1874 un progetto di massima di £ 116.000; anche Tabasso offrì gratuitamente il suo lavoro e il Comune lo ringraziò regalandogli un oggetto. 
Il terzo progetto, dell’ingegnere Dionisio Sciascia, fu presentato il 10 aprile 1883 con una previsione di spesa, per un primo stralcio, di £ 11.700 (11.029 per lavori, 671 per impreveduti). Il progetto del Tabasso prevedeva un teatro di piccole dimensioni: centocinquanta posti in platea, un loggione per cento persone e venticinque palchi su due ordini, oltre agli ambienti di servizio come biglietteria, guardaroba, camerini per gli attori, due caffè e “alloggio del caffettiere”; la platea si sarebbe raggiunta attraverso un portico e un vestibolo. 
Più impegnativo il progetto dello Sciascia: i posti in platea ed i palchi corrispondevano a quelli previsti nel progetto del Tabassoma si aggiungevano duecento posti in galleria ed un palcoscenico più grande. Era però più ambiziosa la sistemazione artistica degli altri ambienti: sul prospetto un portico dorico con due vani destinati a biglietteria e corpo di guardia; sedici camerini per gli attori; un caffè; un’ampia scala in marmo che consentisse l’accesso ad una sala d’aspetto ovale e ad una vasta sala attrezzata per concerti musicali. Sciascia prevedeva altresì di innalzare la costruzione al piano di platea: in tal modo sarebbe stato possibile realizzare alcune botteghe che il Comune avrebbe potuto affittare ricavando “un reddito tale da poter servire alla manutenzione dell’intero edificio” .
Questi progetti furono lasciati da parte e si pensò, attraverso canali aristocratici ben collegati con Palermo, a quanto di meglio si potesse avere in quel tempo e cioè ad Ernesto Basile. Questi, dopo la prima stesura del 1899, rielaborò il progetto nel 1905 nella forma poi realizzata che prevedeva una platea di centocinquanta posti, tredici palchi, ottanta posti nella cavea ed altrettanti nel loggione. Assai elegante ed armonico il prospetto, articolato su tre strutture rientranti da ambo i lati ad angolo retto. Presenti nell’opera gli elementi più significativi della progettualità del Basile: la raggiera bugnata delle finestre arcuate, i bugnati angolari, i pilastri con lesene doriche e parastate corinzie che racchiudono i tre cancelli in ferro, la trifora vetrata della balconata del piano superiore. Per la sala del Teatro Sociale di Canicatti il Basile utilizzò per la prima volta la forma rettangolare che avrebbe adottato nel 1913 anche per la costruzione della sala del Kursaal Biondo (oggi Teatro Nazionale) di via Emerico Amari a Palermo. 
La realizzazione dell’opera prevedeva una spesa complessiva di £ 170.000,00; l’appalto fu affidato all’impresa dell’ing. Raimondo Foti fu Angelo e di Vincenzo Maira che aveva già eseguito i lavori del civico Acquedotto Savuco. Al Basile fu affidata l’alta direzione dei lavori che venivano sorvegliati e diretti in loco dal geom. Alfonso Giuseppe Martines, “ingegnere comunale”. Con i soldi raccolti con la pubblica sottoscrizione si poterono realizzare soltanto la gabbia della sala e del palcoscenico e due scale laterali per raggiungere il loggione con le relative coperture. 
Il Consiglio Comunale, nella seduta del 6 agosto 1900, dopo aver commemorato il re Umberto I, ucciso pochi giorni prima, il 29 luglio, a Monza, decise di intitolargli non solo la piazza e il corso, che fino a quel momento avevano costituito insieme Piazza Maggiore, ma anche l’erigendo teatro. La decisione fu poi in parte abbandonata e il Teatro fu chiamato Sociale non solo per la funzione cui era destinato, ma anche per la contribuzione volontaria dei cittadini alla sua realizzazione. 
Il Consiglio Comunale nel 1901 discusse del completamento del Teatro a seguito della richiesta, avanzata dalla commissione incaricata di raccogliere i fondi, di poter utilizzare “il resto dello spazio dell’ex Giardino del Carmine, attiguo al lato Nord del Teatro, affine di potere con giardini e fabbricati preparare il completamento della decorazione esterna del Teatro e delle sue adiacenze”. 
Del completamento del Teatro si tornò a parlare in Consiglio nelle sedute del 30 marzo e del 23 aprile 1904 presiedute dall’assessore anziano facente funzioni di sindaco Francesco Caramazza. Il consigliere Salvatore Lombardo rilevò che le somme raccolte tra i cittadini erano state appena sufficienti per realizzare la struttura e la copertura e si era resa necessaria una seconda sottoscrizione che aveva raccolto altre 12.741,35 lire, non ancora sufficienti per il completamento dell’opera. 
Grazie alla seconda sottoscrizione pubblica e alla somma stanziata dal Comune, i lavori, affidati all’impresa del cav. Rutelli di Palermo, poterono riprendere; furono costruiti un palcoscenico provvisorio, la maschera della sala, i camerini per gli attori, due ritirate e furono collocati pavimenti e infissi. Il Teatro Sociale fu così messo in condizione di iniziare la propria attività, seppur in via provvisoria.
L’inaugurazione avvenne nella primavera del 1905 con la rappresentazione da parte della compagnia drammatica di Italia Vitaliani della Maria Stuarda di Shespeare (Così scrisse, ahimè, il tecnico comunale Alfonso Giuseppe Martines nella sua relazione del 21 gennaio 1919!).
Intanto alcuni membri della Commissione Teatrale erano morti, mentre altri erano ammalati e impediti; pertanto i pochi componenti ancora attivi, rendendosi conto di non poter portare avanti il gravoso incarico, il 7 giugno 1912 deliberarono la retrocessione del Teatro al Comune; l’offerta non fu però accolta dall’Amministrazione comunale che aveva già i suoi problemi finanziari.
Il 23 dicembre 1912 nel vestibolo del Teatro Sociale si svolse la gara di appalto “a schede chiuse” per la costruzione del portico anteriore della struttura. L’ammontare dei lavori era di £ 16.000. Ma, per l’esiguità delle somme a disposizione, i lavori non furono completati. 
Il prospetto del Teatro Sociale poté essere completato solo in vista delle grandi manovre militari che avrebbero avuto luogo in Sicilia nel 1937, anno XV dell’era fascista. Una circolare del Prefetto di Agrigento, in data 15 gennaio 1937, disponeva, proprio in riferimento a tale evento, la sistemazione delle strade principali dei comuni della provincia. 
Il 23 gennaio 1937 il podestà Ignazio Portalone adottò una delibera avente per oggetto: “Grandi manovre Anno XV – Completamento del Teatro Comunale”. Dopo aver fatto riferimento al contratto del 18 settembre 1924, approvato il 2 ottobre 1924, n. 17080, con il quale al signor Diego Fontana fu Angelo era stato concesso in affitto il Teatro “per la durata di anni 19” e cioè fino all’otto febbraio 1944, il podestà, nel rilevare che il Teatro del Basile era “rimasto incompleto, cioè allo stato grezzo, nel prospetto”, evidenziava “l’urgente necessità di provvedere al completamento del prospetto suddetto in conformità del progetto principale” in vista delle grandi manovre previste per lo stesso anno in Sicilia, in considerazione che tale necessità era “tanto più urgente in quanto il Comune dev’essere il primo nell’abbellimento delle facciate delle abitazioni delle vie principali”. 
Poiché tuttavia il Comune non era in condizione di sostenere la spesa occorrente di £ 15.000, il podestà propose al Fontana di realizzare i lavori anticipando quanto necessario. Come corrispettivo il gestore chiese una proroga del contratto di affitto di sette anni e cioè sino all’otto febbraio 1951. Il podestà accettò l’accordo. 
Il Teatro, finalmente ultimato, poté quindi essere inserito, in data 22 aprile 1940, nel catasto dei fabbricati, con scheda n. 074543. Si trattò dunque di un caso, davvero raro, di cultura promossa da esercitazioni di guerra!
Per il buon andamento del Teatro e per scegliere ed assegnare gli spettacoli, il Consiglio Comunale, nella seduta del 10 novembre 1906, aveva nominato una Commissione Teatrale composta da Ferdinando Narbone, dottor Luigi Marchese, baronello Salvatore La Lomia, Niccolò Lombardo Lumia e Alfredo Lumia. Ma, dopo alcuni anni, si ritenne opportuno dare il teatro in gestione ad un privato. Con una scrittura privata del 30 aprile 1913, il commendatore Salvatore Lombardo Ricca, nella sua qualità di presidente della Commissione amministrativa del Teatro Sociale, concesse in affitto la struttura al sig. Filippo Sillitti “per usarne per cinematografo ed altri spettacoli teatrali”. La concessione prevedeva una durata di nove anni, dal 1° dicembre 1914 a tutto il mese di novembre del 1923. 
Dal testo della concessione in affitto al Sillitti si deduce che il Teatro Sociale era utilizzato anche come cinematografo; questa particolare utilizzazione, apprendiamo da un articolo di Francesco Macaluso, era iniziata già nel febbraio del 1909: “Funziona da alcune sere nel nostro teatro il cinematografo Gigante, superiore persino all’ultimo che abbiamo avuto tra noi e che tutti abbiamo ammirato. E’ dunque il non plus ultra. In questi giorni in cui si fa tanta bile e si arriva, alla sera di ogni giorno, esauriti dalla lotta e stanchi è indicatissimo e fa uso presso i popoli più civili, andare a ricreare un po’ lo spirito, a sollevarlo e ad allietarlo. Metodo brevettato ed energico per ammazzare a colpo sicuro…le serate invernali maledettamente uggiose”. (Francesco Macaluso, Cinematografo Gigante, in La Folla-Giornale Socialista, Canicattì 3 marzo 1909)
Il 22 aprile 1918 il Comune di Canicattì accettò di entrare in possesso del Teatro, così come chiesto già da tempo dall’apposita Commissione. L’accettazione fu tuttavia soltanto verbale, in attesa che l’Ufficio Tecnico Comunale predisponesse la relazione di consegna.
Il 21 gennaio 1919 l’Ufficio Tecnico Comunale, diretto dal geom. Martines, consegnò una relazione che forniva un quadro completo della situazione relativa al Teatro Sociale, sia dal punto di vista strutturale, sia dal punto di vista gestionale. Il Sillitti, che veniva confermato nella gestione, presentò la sua relazione finanziaria: esisteva un residuo attivo di £ 2.314,17, una parte del quale, di £ 95,05, era depositata a risparmio presso il Banco di Credito Canicattinese su libretto n. 3615; la parte più consistente, di £ 2219,12, era nella disponibilità dello stesso Sillitti per la conduzione della struttura. 
Al termine dei nove anni di locazione, Filippo Sillitti riconsegnò al Comune il Teatro. Su incarico dello stesso Sillitti e del commissario regio del Comune, cav. colonnello Angelo Drago, l’Ufficio Tecnico Comunale predispose una relazione sullo stato dei luoghi e così, in data 29 ottobre 1923, poté essere firmato il verbale di riconsegna. Il 19 agosto 1924 il commissario prefettizio, avvocato Agostino Puma, indisse la gara di appalto per la gestione, della durata di 19 anni, del Teatro Sociale; la gara fu vinta da Diego Fontana che firmò i relativi contratti il 13 settembre e il 19 ottobre; nel 1927 Fontana divenne gestore anche dell’Arena Azzurra di via Menfi.. 
Con delibera del 3 ottobre 1924 il commissario prefettizio Agostino Puma (in carica dal 14 giugno dello stesso anno) provvide all’acquisto di 350 sedie-poltrone con un costo complessivo di £ 16.000, comprensive di £ 600 per il trasporto. Il tutto fu fornito dalla ditta di Palermo “Al Vulcano” di Antonio Diotti & Figli. Il 7 ottobre successivo la Giunta, con delibera n. 369, approvò il progetto relativo all’installazione di tre cancelli in ferro per l’accesso al teatro; l’undici ottobre fu approvato il preventivo predisposto dall’Ufficio Tecnico Comunale per l’illuminazione elettrica del teatro: importo previsto £ 5.500,00 “ivi comprese £ 263.45 per spese impreviste”; l’otto dicembre dello stesso anno la Giunta, presieduta sempre da Puma, affidò all’appaltatore Giuseppe Paxia la fornitura di due bussole, al prezzo di £ 743,80 ciascuna. 
Il Teatro Sociale intanto, anche se ancora incompleto, continuava nella sua attività, ospitando le compagnie di Gustavo Salvini, Giovanni Grasso e Angelo Musco.
             Nell’autunno 1930 Angelo Musco fu ospite del venticinquenne barone Agostino La Lomia a Villa Giacchetto e recitò al Teatro Sociale in Don Gesualdo e la ballerina, Fiat voluntas Dei, San Giovanni decollato. La compagnia di Giovanni Grasso fu impegnata al Sociale nel novembre 1929: matinée con San Giovanni Decollato; soirée con Cavalleria rusticana. 
Il Teatro, soprattutto in occasione di importanti proiezioni cinematografiche, ospitava particolari categorie di cittadini: nella primavera del 1928, in occasione della proiezione del film Il re dei Re, metà platea fu messa gratuitamente a disposizione dell’Orfanotrofio Femminile “Maria Corsello”, “procurando alle innocenti creature due ore di vero godimento spirituale”; nella primavera del 1931 le scolaresche di Canicattì poterono assistere gratuitamente alla proiezione del film La Trasvolata Oceanica. Le rappresentazioni teatrali e gli spettacoli cinematografici venivano pubblicizzati sulla stampa locale. 
Sempre al Sociale, il 20 maggio 1931, furono dati due capolavori dell’umorismo: Roberto XXVII e La Vedova all’erta. Sul palcoscenico del Sociale recitarono Ermete Novelli, Ermete Zacconi, Emma ed Irma Grammatica, Germana Paolieri, Paola Borboni, Virginia Balestrieri, Rosina Anselmi, Tommaso Marcellini e tanti altri ancora. 
Luigi Pirandello, per una delle prime rappresentazioni dei Sei personaggi in cerca di autore non scelse il Teatro “Regina Margherita” di Agrigento, che sarebbe poi stato a lui intitolato, ma il Teatro Sociale di Canicattì. Il tutto fu organizzato da un comitato, composto dall’avv. Salvatore Sanmartino, dal dottor Gaetano Stella, da Giuseppe Caramazza Imperia, da Salvatore Narbone e da Nicolò Bartoccelli. A cura del comitato, giovedì 1° dicembre 1927 Luigi Pirandello fu prelevato in automobile ad Agrigento insieme alla signora Marta Abba, che era accompagnata dalla mamma e dalla sorella. Gli ospiti giunsero a Canicattì alle ore 17 e furono ricevuti - al Circolo di Compagnia per l’occasione riccamente addobbato e illuminato - dalle autorità e da un folto gruppo di cittadini. Porsero il benvenuto il dottor Gaetano Stella e il vice podestà Calogero Fazio Tirrozzo che conferì all’illustre ospite la cittadinanza onoraria del Comune di Canicattì. Lo scrittore, visibilmente commosso, ringraziò, dicendosi lieto dell’accoglienza ricevuta e lusingato della cittadinanza onoraria. (Pirandello a Canicattì, in Notiziario Canicattinese, Canicattì, 11 dicembre 1927) 
Quindi gli fu consegnato il diploma di arcade minore dell’Accademia del Parnaso, mentre i componenti della banda musicale suonavano, ciascuno per proprio conto, chi la marcia trionfale dell’Aida, chi brani della Norma o dei Vespri Siciliani, dal momento che non c’era stata intesa preventiva sui pezzi da eseguire. A Luigi Pirandello, che si disse colpito da tanta diversità di suoni, l’avvocato Salvatore Sanmartino rispose con assoluta naturalezza: “Maestro, ciascuno a suo modo: non le pare?”. 
Al termine, come risulta dalla fattura della ditta Caillers-Cioccolatini Fantasia, furono serviti dolci, liquori e champagne per un totale di 616,25 lire, comprensive di 30 lire date come complimento a due barbieri per l’occasione, come si usava allora, e del facchinaggio. 
Alle ore 21 in punto l’opera di Luigi Pirandello fu messa in scena dalla Compagnia Teatrale d’Arte di Roma, di cui facevano parte la prima attrice Marta Abba, il primo attore Lamberto Picasso e altri attori come Rodolfo Martini, Gilda Marchiò, Rina Franchetti, Gina Graziosi, Arnaldo Martelli. Il Teatro Sociale era gremito in ogni ordine di posti da un pubblico particolarmente attento. Fu tale il successo, accompagnato da numerosi, scroscianti applausi, che al termine della rappresentazione Marta Abba chiese a Luigi Pirandello: “Maestro, siete nato ad Agrigento oppure a Canicattì?”. Data la rilevanza dell’avvenimento culturale, l’impresa che gestiva il Teatro mise gratuitamente a disposizione locale, luce e personale. La serata diede un incasso di £ 7.120. Furono spese in totale 6620 lire: 4.000 per la compagnia, 1743 come tassa erariale e diritti di autore, 757 per albergo, pranzi e spese varie; 120 lire furono date in beneficenza al TemplumCharitatis di Agrigento. L’utile netto, di £ 500, fu dato in beneficenza ad istituzioni locali: 200 lire all’Opera S. Vincenzo, 100 all’Opera Nazionale Balilla, 100 all’Orfanotrofio e 100 al Patronato Scolastico. 
Quella sera, eccezionalmente, Pirandello decise di assistere allo spettacolo e fu chiamato alla ribalta al termine di ogni atto. Pare infatti che il grande scrittore nutrisse nei riguardi del Teatro Sociale di Canicattì una specie di pregiudizio scaramantico: preferiva dare la prima dei suoi lavori a Canicattì e, da come vi andavano le cose, traeva indicazioni per le successive rappresentazioni. Ma, in questo atteggiamento scaramantico, rientrava un comportamento strano: il grande drammaturgo veniva a Canicattì per la rappresentazione delle sue opere ma non vi assisteva mai: ne attendeva la fine seduto al caffè Ferreri che si trovava nei pressi del Teatro. Al termine entrava nella sala per sentire gli umori del pubblico. 
Talora la fine dello spettacolo era annunciata all’autore da una fragorosa bordata di fischi. L’amico Pasquale Gazzara, socialista e futuro sindaco della Città, che allora gestiva un negozio di materiale elettrico proprio di fronte al Sociale, spesso gli faceva compagnia; mortificato per il comportamento dei suoi concittadini, si avvicinava, quasi scusandosi a nome della città: “Zi Luvì, li pirdunassi, sunnu quattro viddani ca nun capiscinunenti!”. Ma il drammaturgo rispondeva con assoluta serenità: “Sono contento, molto contento, perché quanto successo stasera è il segnale che l’opera sarà un trionfo nei teatri del mondo”. 
Il Sociale rimase per decenni il principale centro culturale-ricreativo della città ed era utilizzato anche per conferenze ed incontri di carattere politico, culturale e sociale. Nel 1916 e nel 1919 il salesiano canicattinese don Antonio Fasulo vi tenne delle conferenze con “proiezioni luminose” a favore degli istituti salesiani che assistevano orfani di guerra. 
Il 29 settembre 1907 al Teatro Sociale si tenne un “comizio anticlericale”: “Tutti al comizio Anticlericale – Al Compagno Avvocato Antonio Guarnieri Ventimiglia, che oggi, nel nostro Teatro Sociale, porterà la voce dell’infaticabile apostolo, del dotto propagandista, dello scienziato popolare, il saluto solidale e fraterno de La Folla” (La Folla, Canicattì, 29 settembre 1907). A fine dicembre del 1922 al Sociale tenne una conferenza l’avv. Giovanni  Battista Adonnino, fiduciario provinciale delle organizzazioni sindacali fasciste. All’incontro parteciparono anche operai e impiegati dei molini e pastifici aderenti al Sindacato Mugnai Fascisti, costituito domenica 3 dicembre 1922. 
Il 10 gennaio 1927 il teatro fu temporaneamente chiuso per problemi di pubblica incolumità. La Commissione Provinciale di Vigilanza, il 22 dicembre 1939, ordinò dei lavori di adeguamento che furono realizzati, come richiesto, entro il 31 gennaio 1940; con lettera dello stesso giorno il gestore Diego Fontana fu Angelo ne dava comunicazione al podestà Angelo La Vecchia. Il 6 febbraio 1945 la Commissione di vigilanza sul Cinema Teatro Sociale, presieduta dal sindaco Vincenzo Fazio Tirrozzo, verificò l’esecuzione da parte del gestore delle prescritte misure antincendio e certificò che il locale poteva “essere adibito a spettacoli cinematografici e teatrali”.
Nel secondo dopoguerra, in coincidenza col boom delle sale cinematografiche e l’aumento iperbolico degli spettatori, si ebbe la decadenza e la distruzione del glorioso Teatro. Il Sociale aveva una ricettività affatto insufficiente: la maggior parte dei posti della cavea e molti palchi non consentivano una adeguata visibilità da parte degli spettatori; risultavano idonei alle nuove esigenze soltanto i posti della platea, una trentina di posti della cavea e alcuni palchi. Urgeva quindi, a giudizio del gestore e di molti cittadini, ampliare la ricettività complessiva e a questa esigenza si provvide apportando sostanziali modifiche strutturali. 
La colpa di questa vicenda dolorosa viene da molti addebitata al sindaco comunista Francesco Cigna ma bisogna osservare che la decisione sulla trasformazione del Teatro non fu assunta con una autorizzazione del solo Cigna ma con delibera adottata dall’intero Consiglio Comunale e che il medesimo sindaco non fu l’unico né il principale autore dello scempio. 
La pratica andò avanti con assoluta celerità. Il 3 aprile 1951 Diego Fontana, gestore del Teatro Sociale, presentò al sindaco Francesco Cigna una istanza (datata 31 marzo 1951) in cui chiedeva di poter realizzare profonde modifiche all’interno del teatro. Su richiesta dell’amministrazione comunale, il capo dell’Ufficio Tecnico Comunale, ing. Luigi Portalone, il 30 aprile 1951, presentò apposito progetto “di miglioramento del Cinema Teatro Comunale di Canicattì gestito dal sig. Fontana Diego” che prevedeva l’ampliamento dei posti del teatro da 250 a 600 al fine di “migliorare i servizi e la stessa struttura”. Era previsto un importo dei lavori di £ 7.000.000. 
Il 19 maggio Diego Fontana, con una istanza su carta bollata da £ 24, comunicava al sindaco Cigna di aver preso visione del progetto dell’ing. Portalone e di averlo trovato di suo gradimento; si dichiarava quindi disposto ad eseguire tutte le opere, a condizione che il contratto di affitto del Teatro - stipulato il 13 settembre 1924 e prorogato in data 29 luglio 1938 fino al 30 giugno 1959 – fosse ulteriormente prorogato fino al 30 giugno 1969 con sostanziali modifiche delle clausole di locazione. 
Il 26 maggio 1951 il Consiglio Comunale, si riunì, alle ore 20, sotto la presidenza del sindaco Francesco Cigna e con l’assistenza del segretario capo ragioniere Sebastiano Timineri; presente anche l’ing. Luigi Portalone per fornire ai consiglieri eventuali chiarimenti di carattere tecnico. Il sindaco diede lettura dell’istanza di Diego Fontana, proponendone al Consiglio l’approvazione. Nei pochissimi interventi, in particolare in quelli di Antonino Pillitteri e di Carmelo Antinoro, ci si preoccupava soltanto di problemi tecnici e soprattutto delle clausole del nuovo contratto di affitto. Dopo “ampia discussione ed i chiarimenti contabili dati dal Rag. Capo del Comune”, il Consiglio adottò all’unanimità la seguente delibera: “Modifica contratto di affitto del Teatro Comunale – Approvazione progetto di trasformazione del Teatro Comunale”. 
L’atto fu approvato dai consiglieri Carmelo Antinoro, Gaetano Caico, Gaspare Cammilleri, Nicolò Capizzi, Calogero Carusotto, Francesco Cigna, Vincenzo Di Grigoli, Vincenzo Di Puma, Pasquale Gazzara, Angelo Giglia, Antonio La Verde, Luigi Livatino, Angelo Lo Giudice, Luigi Lo Giudice, Domenico Messina, Giuseppe Miccichè, Vincenzo Paci, Antonino Pillitteri, Diego Sgammeglia, Cristoforo Vinci. Erano assenti i consiglieri Filippo Carbone, Luigi Contrino, Aurelio Contrino, Salvatore Donato, Ignazio Ferreri, Salvatore Ferro, Giovanni Lattuca, Francesco Messina.
Nella delibera si approvava il progetto di trasformazione del Teatro Sociale redatto dall’ing, capo del Comune, si prendeva atto che le opere sarebbero state eseguite sotto la direzione e sorveglianza dell’Ufficio Tecnico Comunale e si chiedeva al Prefetto “autorizzazione alla trattativa privata col signor Diego Fontana per la stipulazione del contratto di cui agli articoli seguenti, con la proroga ulteriore dei contratti in vigore del 1924 e del 1938”.
Veniva quindi approvato il nuovo contratto di locazione. 
La delibera, firmata dal sindaco Cigna, dal consigliere anziano Gazzara e dal segretario capo Timineri, fu pubblicata all’albo pretorio domenica 10 giugno 1951 e trasmessa alla Prefettura di Agrigento, per i provvedimenti di competenza, il 20 giugno. La delibera fu approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa nella seduta del 30 aprile 1952 “salva l’autorizzazione prefettizia alla trattativa privata”; in data 23 maggio 1952 il nuovo contratto di affitto, n. 2736 di repertorio, poté essere stipulato.
Diego Fontana affidò l’esecuzione dei lavori all’impresa di Alfonso La Licata ed ai fratelli Raffaele e Vincenzo Corbo; direttore dei lavori fu nominato il geometra comunale Salvatore Narbone. Nel 1956, quando Francesco Cigna ormai da anni non era più sindaco, il gestore Fontana realizzò all’altezza del primo piano un’orrida tribuna in cemento armato, poggiata su pilastri collocati là dove si sviluppavano i sottopalchi, inseriti in un’unica galleria rialzata di un metro rispetto al piano della platea; per consentire un’adeguata capienza della tribuna furono utilizzati ampi spazi e sottotetti del primo piano. Furono fortunatamente conservati nella forma originale i locali di accesso e la suddivisione della scena. Nei primi anni Sessanta fu completata la demolizione dei palchi, furono distrutte le decorazioni in stucco dell’interno, furono rimossi gli arredi in velluto e il teatro divenne esclusivamente sala cinematografica; ma poco dopo, in seguito all’alluvione che nel 1966 colpì la città, la struttura fu dichiarata inagibile.
Dopo tanti incarichi a professionisti più o meno illustri, nel 2008 il Teatro Sociale è stato finalmente sottoposto a lavori di ristrutturazione, adeguamento strutturale, recupero architettonico e realizzazione degli impianti tecnologici imposti dalle attuali normative: centrale idrica, locale pompe antincendio, locale macchine ascensore, impianto elettrico e gruppo di continuità, impianto termico. Nella relazione tecnica del progettista, architetto Luigi Munna, erano evidenziati i punti essenziali del recupero architettonico: “Eliminazione delle superfetazioni e recupero della distribuzione originaria; recupero del prospetto; riproposizione dell’impianto tipologico della sala; adeguamento dello spazio scenico e realizzazione della “macchina teatrale” all’italiana, composta principalmente da due spazi: la torre scenica, volume tecnico dove avviene la rappresentazione, e la sala, luogo deputato al pubblico”. 
Sono state demolite la gradinata in cemento armato e la cabina di proiezione; sono state ripristinate le due scale laterali ed il salone delle feste centrale e, grazie alla ricostruzione dell’antico timpano e all’apertura dell’oculo centrale, è di nuovo possibile accedere al terrazzo sovrastante il prospetto. 
Il 20 dicembre 2009 il Teatro Sociale è stato riconsegnato alla Città. 
Canicattì si è, finalmente, riappropriata di una struttura davvero “sociale”, che potrà esaltarne e potenziarne le tradizioni culturali.







Gaetano Augello 


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