LUIGI FICARRA, Dalla bolla di componenda alla bolla berlusconiana

passando dal fango emblematico della Catania di oggi, oggetto della inchiesta di Report del 18 marzo 2009

La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, istituita nel luglio 1875 dal governo Minghetti, venne a conoscenza, senza decidere però di approfondirlo, di un fenomeno gravissimo, l’esistenza da lunghissimo tempo nell’isola, sino alla proibizione fattane col decreto Tajani proprio in quel tempo, della «bolla di componenda», emanata dai vescovi delle singole diocesi e venduta nelle chiese, tramite i parroci, nelle primissime ore del mattino, nel periodo compreso fra Natale e l’Epifania.
Ne ha parlato Andrea Cammilleri nel libro intitolato appunto «La bolla di componenda», fondandosi in particolare sulla descrizione che ne fa il prof. Giuseppe Stocchi di Alcamo in alcune lettere inviate alla Commissione d’inchiesta. La «bolla» veniva acquistata, al prezzo di lire una e tredici, dai peggiori delinquenti e comunque da quelli che sceglievano di delinquere col furto, la corruzione, l’abigeato, la falsa testimonianza, da avvocati e giudici usi a vendersi, ed anche da chi decideva di far mercimonio del proprio corpo, donna o uomo che fosse; e, a differenza dell’indulgenza, assolveva da ogni colpa, preventivamente, dando «tranquilla coscienza» per fatti illeciti che dovevano essere ancora commessi, pur potendo avere, alla bisogna, anche effetti retroattivi. “Tale è la morale- dice Stocchi - a cui il clero cattolico educa il popolo e specialmente le plebi in Sicilia, e tale era l’indirizzo favoreggiato e protetto e inculcato dai passati governi”. - “Il volgo – dice ancora Stocchi – conclude (dalla pratica diffusa della vendita della bolla di componenda) che se partecipa ai furti e ruba il prete, a più forte ragione può rubare lui, e che perciò il rubare non è peccato”. «La bolla di componenda, - (di cui “la componenda”, e cioè l’accordo illecito fra briganti e poliziotti, spiegato da Pallotta nel suo Dizionario storico della mafia, non è altro che la versione laica,) è – conclude Cammilleri nel suo libro - un pactum sceleris: solo che uno dei contraenti era la più alta autorità spirituale del tempo, la Chiesa Cattolica». Analisi che dà conferma della tesi svolta da Marx nel Manifesto del partito comunista, che “Le idee dominanti di un’epoca, non furono che le idee della classe dominante”. Che è l’idea base su cui lavora lo storico Giuseppe Carlo Marino, servendosi anche del concetto di egemonia di Gramsci, per dar ragione della presenza della cultura mafiosa in parte del popolo siciliano. «Quando un paese, la massa del popolo – dice alla Commissione d’inchiesta del 1875 il generale Casanova – si trova immerso per secoli in quella putredine da chi deve condurlo alla virtù, … bisogna essere giusti, bisogna dire che l’infamia è loro …» - (da Cammilleri).
La bolla berlusconiana sull’edilizia, con cui viene in pratica concesso un condono preventivo per opere che in base alle leggi vigenti non potrebbero farsi, e, quindi, illegittime, è allo stesso tempo espressione di una cultura dell’illegalità molto diffusa nel paese, di cui Berlusconi è l’emblema nazionale - (così come il fascismo – diceva Gobetti – è per certi aspetti l’autobiografia del popolo italiano) -, ed è pure strumento molto pernicioso, perché accelererà la diffusione a livello di massa di detta cultura. Motivo per cui la sinistra deve organizzare contro di essa una decisa opposizione.
L’egemonia mafiosa esistente oggi in una città come Catania e di cui Report del 18 marzo scorso ci ha dato una seria e precisa documentazione, è la spia grande di un cancro che avanza e che, se non si mobilitano tutti gli anticorpi vivi, rischia di distruggere ogni resistenza civile, per il modo come si è diffuso a raggio, quasi una metastasi, come ebbe ad esprimersi in modo disperato l’ultimo Sciascia. Indigna, come un pugno allo stomaco, veder rinascere, nelle forme di oggi, fenomeni come l’appello «pro Sicilia» in favore del Palizzolo di fine ‘800, responsabile dell’assassinio Notrabartolo. E’ triste e sintomatico vedere il quotidiano "La Sicilia", i suoi principali giornalisti e tanti collaboratori "di prestigio" intonare, come è stato efficacemente scritto il 2 aprile scorso in una lettera a Liberazione, il noto antico ritornello, trito e ritrito, di un attacco deliberato alla città, all’onore di una Sicilia indistinta, senza conflitti e classi sociali, che è la linea sempre seguita dalla cultura mafiosa delle classe dirigente borghese dell’isola, tuttora largamente egemone. Una strategia, questa, dimostratasi nel tempo vincente, che mette assieme opinionisti di destra ed anche alcuni intellettuali di “sinistra”, in modo funzionale alla permanenza degli assetti di potere politico economico e mafioso, per avere, cioè, la compartecipazione subordinata del "popolo", necessaria per l’esercizio dell’egemonia.

Padova 7 aprile 2009

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